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Katia arriva in una nuova casa. E’ suo marito Eddy che gliela propone in vista di un periodo di separazione. In breve tempo si instaura tra la donna e la casa un dialogo misterioso. La casa richiede la sua presenza, la sua attenzione e si rivela piena di sorprendenti novità: un tasto nell’interruttore della luce che prima non c’era, le borchie delle scale che saltano all’improvviso. Ma non solo. Katia teme che ci sia qualcuno che entra ed esce dalla casa in sua assenza. In una atmosfera di sensazioni dilatate, Katia intrattiene con la casa un dialogo continuo che la porterà a scoperte sorprendenti sul passato della casa che molti anni prima era stata un Acquario. Suo marito Eddy osserva la moglie e la sua volontà di sapere ad ogni costo. E’ attratto e spaventato dai cambiamenti della donna, ne percepisce la trasformazione da piccole stranezze che gliela fanno desiderare ancor più. Teme per la sua salute e cerca di scacciare dalla mente ogni pensiero stravagante sul rapporto simbiotico che si sta sviluppando tra sua moglie e la casa. Non avrà il tempo di fare molto.

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Guardo la copertina per trovare un’ispirazione. Rileggo più volte anche il titolo. Non è facile per un autore parlare del proprio libro per questo mi faccio guidare da questa immagine. Era la scorsa estate quando abbiamo composto il puzzle. Ne manca un pezzo, sì lo so. L’ho tolto io perché volevo che la foto, come la storia, desse l’idea dell’incompiuto. Non dell’incompiuto in senso letterale, s’intende, la storia raccontata, infatti, ha un suo inizio e una sua fine (a modo mio), ma volevo che lasciasse nel lettore quel senso di vuoto, piccolo smarrimento per ciò che poteva essere ma non è stato. Nel puzzle smisurato manca un tassello quel piccolo particolare, come dice la protagonista, che dà senso all’intero. Ma l’intero non è concesso agli amanti. Rimangono le migliaia di piccole parti, quelle che Heliat scorge ovunque lei guardi, quelle che racconta in ogni capitolo.


E’ difficile presentare un libro come “Le parole non dette”. Un libro che consegna al lettore una materia talmente delicata che quasi si ha timore di sciuparla, se non addirittura di romperla, maneggiandola con le parole. Un po’ come accade quando si maneggia una pergamena sottile e pregiata.
“Le parole non dette” di Gabriella Bosco non si può definire, secondo le classificazioni canoniche, né un romanzo di formazione né tanto meno un romanzo psicologico.
Anche se è tutto risolto nell’interiorità della protagonista, che narra in prima persona. Anzi, direi, proprio perché è tutto risolto nell’interiorità della protagonista.
Non sembra che all’Autrice interessi tanto seguire lo sviluppo di un processo interiore, quanto fotografarne i momenti di immobilità, che sembrano inchiodare la protagonista a un destino di stasi perpetua. Questo mi è sembrato il messaggio e il ruolo di fondo del romanzo: voler essere un atto d’accusa alle sbarre delle gabbie in cui le convenzioni e le aspettative sociali imprigionano quegli esseri che sembrano più vulnerabili proprio perché vibrano di una profondità, di una sensibilità interiore che li rendono “inadatti” ad adeguarsi alle regole che la società impone. Che li rendono refrattari alla omologazione.
Si tratta di un romanzo breve, sì, ma all’insegna di una interiorizzazione densa di significati.